venerdì 26 febbraio 2016

Un parere sui Grammy Awards di quest'anno



Sono passati undici giorni dai 58esimi Grammy Awards, i premi che vengono assegnati nel mondo della musica. Non sono interessato a commentare le categorie commerciali, se non quella riguardante la musica elettronica – Dance/Electronic per farmi capire – e i remix.

Per la categoria Best Dance Recording ha vinto la canzone “Where Are Ü Now” dei Jack Ü (aka Diplo e Skrillex) e cantata da un Justin Bieber che ho abbastanza rivalutato dopo quest’ultimo anno. Diciamo subito che Diplo è stato il personaggio dell’anno all’interno del panorama elettronico mondiale, grazie alle sue varie produzioni e a progetti quali Major Lazer (con Jillionaire and Walshy Fire) e a quella già nominato con Skrillex, oltre alla propria carriera solista. Sono un po’ contrariato alla vittoria di questa canzone, anche perché molte altre meritavano la statuetta. Se guardiamo i nominati, i più meritevoli sono i The Chemical Brothers e la loro “Go”, singolo del loro ultimo e acclamato album; Flying Lotus è un altro individuo che poteva facilmente vincere con “Never Catch Me”, cantata da quel mostro di Kendrick Lamar (ah, ha vinto cinque premi, sapete?). Assenze pesanti, come la canzone che avrei dato favorita: “Lean On”, praticamente ascoltata fino allo sfinimento da tutti e vera hit dell’anno. Diplo è contento lo stesso, ma se fosse per il sottoscritto sarei stato ben più felice con un singolo più valido. Jamie xx assente [Loud Places o I Know There’s Gonna Be (Good Times) facilmente nominabili], così come Madeon (Pay No Mind) e altri nomi che non stiamo qui a dire.

Per il miglior album tantissimi dubbi. Ok, i Jack Ü hanno sfornato un ottimo lavoro, ma a livelli lontanissimi da “Born in The Echoes” dei fratelli chimici o “In Colour” di Jamie xx, con quest’ultimo il mio favorito alla vittoria. “Our Love” di Caribou è un grandissimo LP, ma non il migliore, mentre i Disclosure hanno deluso un po’ le aspettative con “Caracal”. Anche qui grandi assenze, come George FitzGerald e “Fading Love”.

Dura parlare per il Best Remix. Sicuramente nessuno dei cinque meritava una statuetta (anche se avrei tifato per il buon Kaskade), ma dove è finito il remix di Four Tet di “Opus” di Eric Prydz? O quello di Jon Hopkins di “Magnets” dei Disclosure? Ce ne sarebbero tanti che si potrebbero nominare, ma bastano queste due per confermare che i Grammy non sono merocratici.