venerdì 29 gennaio 2016

Trenta di questi dolori



Lettura consigliata ascoltando questo brano.

Me lo ricordo molto bene quel lontano giovedì 29 gennaio dello scorso anno. La sveglia suonò presto, verso le sette del mattino. Era un giorno come tutti gli altri, se non fosse per il primo esame che avrei dato nella mia carriera universitaria. Verso le dieci sarebbe cominciato l’esame di Storia del Cinema, una materia facoltativa da soli sei crediti per cui non ho minimamente aperto libro e appunti. Alle otto e trenta ero già a bordo del treno regionale diretto verso Venezia, ma era Padova la mia tappa finale.
Dovevo trovarmi con un’amica, anche lei sul mio stesso treno, per poi andare verso il luogo dell’esame insieme ad un’altra amica in comune, pure lei intenzionata a dare l’esame. Camminata tranquilla nel freddo e nella nebbia – tipica a gennaio nella pianura Padana – a parlare del più e del meno.
Arrivammo a destinazione, nel Dipartimento di Storia situato vicino al Duomo di Padova, in cerca della fantomatica aula. Quando aprimmo la porta, la scena che ci compare davanti a noi è la seguente: diversi studenti intenti a ripassare svariati fogli di appunti.
L’aula è piuttosto grande, fornita di diverse poltrone molto comode, più adatte a una dormita che a un ripasso pre-esame.  Ci sistemammo sulla sinistra rispetto al grande banco posto al centro dell’aula, ci togliemmo i cappotti ed io, gentilmente, chiesi alla mia amica se potevo ripassare sui suoi appunti; una letta veloce di circa una ventina di pagine che mi rende già pronto per l’esame, anche se effettivamente ero un pochino preoccupato.
Il professore arrivò in ritardo di qualche decina di minuti. Essenzialmente è un uomo di una cinquantina d’anni, di media statura, capelli grigi scuri ondulati, occhiali neri e una pancia un po’ rilevante. E’ una persona serena, che deve prendersi varie pause per fumarsi una sigaretta. La mia tecnica era la seguente: osservare le interrogazioni e prepararmi a parlare di qualcosa che non so. La mia fortuna era quella d’essermi iscritto nella metà, dunque avere tutto il tempo per esser tranquillo.
Il professore, appena entrato, rivelò come si svolgerà l’esame: un paio di domande ciascuno e, vista la quantità di gente, poteva rinviare al giorno dopo chi non fosse stato interrogato. Ma ecco dietro l’angolo la cattiva notizia, la lancia che colpisce il cuore, la pugnalata alle spalle: si andrà in ordine alfabetico di cognome.
Ero fottuto. Essendo il mio cognome per B, mi ritrovai ad essere secondo. Dopo essermi letteralmente cagato in mano nei primi cinque secondi, presi un po’ di fiato e conquistai gli appunti della mia amica. Iniziai a dare una rapida controllata mentre il primo ragazzo interrogato si diresse verso la sedia posta davanti al bancone.
Il suo è un esame che non stava certamente andando bene, dato che aveva risposto a metà la prima domanda e alla seconda aveva spiaccicato qualche parola. Alla fine il ragazzo avanzava il proprio libretto universitario – probabilmente era uno del secondo o del terzo anno – e il professore scrisse il voto. Pensai fra me che la valutazione data sia un diciotto, quindi non mi preoccupai più di tanto. L’unico problema era che mi ritrovavo una cinquantina di persone pronte ad ascoltarmi e non volevo certamente fare brutta figura; era un po’ come ritrovarsi al debutto in Formula 1, con gli addetti ai lavori pronti a parlar male dopo un piccolo errore.
Venni finalmente chiamato e io mi diressi senza paura verso la cattedra. Mi sedetti, ma ero leggermente in tensione e lo si poteva notare dal sudore che mi stava uscendo dalle ascelle. La prima domanda che mi venne posta riguardava il montaggio, su cos’era e le varie parti che lo componevano. Questo argomento non era mai stato trattato, tantomeno non era presente negli appunti. Penso di non aver mai ringraziato Canesecco – Matteo Bruno, noto youtuber italiano malato di fotografia e di riprese – per i suoi video tecnici come in quel momento. Primo ostacolo superato.
Pure la seconda domanda era semplice, poiché dovevo parlare della figura comica di Charlie Chaplin. Sapevo come parlarne, ma non so per quale strano motivo sbagliai a dire il nome di Charlot, sostituendolo con Pierot. Il professore non se ne accorse, quindi continuai a parlare come se nulla fosse. Alla fine mi ritrovai con la bocca impastata di saliva, ma soddisfatto. Il professore mi chiese se era il primo esame e io annuì per affermare di sì.  Mi diede un trenta e mi girai per tornare al posto.
Subito molte persone mi chiesero cosa avessi preso e dissi tranquillamente il mio voto, tranquillizzando la gente sulla facilità dell’esame. Scoprii poi che il ragazzo che mi aveva preceduto aveva conquistato un ventiquattro, certamente un voto al di sopra delle mie aspettative.
Aspettai che arrivasse anche il turno della mia amica – la ragazza con cui prendevo lo stesso treno –, che arrivò dopo pochi minuti essendo il suo cognome per D. Prese un ventisette, ma certamente immeritato date le domande; il professore gli chiese pure di spiegare il cinema ungherese, cosa introvabile pure sul libro di testo.
L’altra nostra amica, che aveva il cognome per Z, era tra le ultime. Io e la mia amica decidemmo di tornare a casa verso mezzogiorno e mezzo e di prendere il treno dell’una e otto minuti. Arrivati a Vicenza, salutai la mia amica e presi il bus diretto a casa mia, dopo aver aspettato diversi minuti. Ricordo che avevo litigato con la mia ragazza dell’epoca, ma gli annunciai lo stesso l’esito del mio esame.
Il viaggio tranquillo di ritorno durò circa mezz’ora e tornai a casa verso le due e un quarto. Presi la mia Rossana (una bicicletta simile alla Graziella di color arancione) parcheggiata vicino al municipio e mi diressi a casa. Quando entrai in cucina trovai mia madre e le comunicai il mio voto; lei era entusiasta e, successivamente, mi tirò fuori il piatto di pasta al ragù che mi aveva preparato. Io lo presi e lo posi nel microonde e presi poi il cellulare per vedere gli ultimi messaggi di WhatsApp.
Il messaggio che lessi fu agghiacciante, un misto fra l’incredulo e la confusione. Nel gruppo dei ragazzi del camposcuola, frequentato la scorsa estate, un amico annunciò la morte di uno dei ragazzi. Lo lessi tre, quattro volte, ma non riuscivo a comprendere la situazione. Ingenuamente, scrissi di getto un “Stai scherzando spero”.
La mia giornata procedette come tutte le altre, ma con la consapevolezza che qualcosa era cambiato. Presi in mano il libro del Gruppo Nutella, di cui lui faceva parte, e rilessi tutto il pezzo che c’era dentro al libro. Notai che una parte era in perfetta sintonia con il brano “Voyager” dei Daft Punk e con il suo video musicale. Penso che quel video me lo sia visto un paio di volte nell’arco di un’ora.
Una mattina che era andata bene si è trasformata in un giorno grigia e fredda, in sintonia con il tempo di quella giornata. Un trenta preso ad un esame universitario passava in secondo piano a quanto era accaduto. Non ho mai riflettuto così tanto sul significato della vita come in quel momento, su quanto sia beffarda e ingiusta. Ti chiedi anche: “Come mai non io?” e cerchi di dare una risposta che non troverai mai.
Alla fine venne la sera. La veglia era per le nove della sera ed io mi ero offerto per portare altri in macchina. Il posto si trovava a Vicenza, nel quartiere di Villaggio del Sole, e fu incredibile quante persone erano presenti quella sera. Non dissi molto agli altri, ero abbastanza in silenzio e credo che era da molto tempo che non piansi così tanto.
Mi colpì molto la forza di suo padre e il dolore di sua madre, di sua sorella e suo fratello, così come quella dei presenti. Non c’è molto altro da raccontare al riguardo, soprattutto per le tante cose successe.
Alla fine della veglia mi colpì la reazione di un ragazzo, un grande amico del defunto, che non era addolorato ma abbastanza animato. Parlando con lui non riuscii a non trattenere qualche risata e mi risollevai di morale. Sicuramente era lui quello che soffriva più di noi, ma aveva compreso più di tutti che la vita andava avanti. Una beffa, perché pure lui ci lasciò solamente un mese dopo.
I giorni passarono, arrivò pure il giorno del funerale, ma solamente dopo molto tempo compresi che avevo perso una persona squisita e che non ho avuto modo di conoscere meglio, solamente per colpe mie e mi è difficile dire che fosse mio amico, ma credo che lui la pensi diversamente da me. Come scrissi un anno fa, aspettami là in cielo che quando arriverò ci prenderemo del tempo per chiacchierare, magari mentre suoni la tua chitarra.

Nessun commento:

Posta un commento